In questo articolo esploriamo in dettaglio le lingue di lavoro e le combinazioni linguistiche dell'interprete. Un professionista di questo settore può lavorare con una lingua straniera, talvolta due, in casi rarissimi, anche più lingue. Esiste un sistema di classificazione A B C per le diverse combinazioni di lingue di lavoro e per poterne parlare in dettaglio iniziamo dalla definizione ufficiale delle lingue di lavoro dell'interprete fornita dall'AIIC, l'Associazione Internazionale degli Interpreti di Conferenza. Lingue di Arrivo: sono le lingue verso le quali l’interprete traduce oralmente, definite LA e LB Lingua A
Lingue di Partenza: sono le lingue dalle quali l’interprete traduce oralmente, definite anche LP Lingua C
Spiegato in modo così schematico appare di semplice comprensione, ma di fatto vige molta confusione che spesso attanaglia persino gli aspiranti interpreti. Il problema nasce dal fatto che esistono molte sfumature tra le lingue appartenenti ai concetti espressi dalle lettere A B C. Andiamo ad analizzarli superando le definizioni ufficiali, guardando l'A B C in tutte le casistiche inerenti la pratica dell’interpretazione. A – La lingua madre Sembrerebbe la parte facile del discorso perché ognuno di noi ha una lingua materna. E se non fosse proprio così! Tante possono essere le eccezioni ... basti pensare al fenomeno del bilinguismo. Uno dei problemi più ricorrenti per molti aspiranti interpreti è la qualità della loro lingua madre che a volte non soddisfa gli standard richiesti per lavorare, spesso riguarda anche interpreti laureati e specializzati che non riescono a superare concorsi nelle varie istituzioni internazionali. Va dunque chiarito il livello qualitativo della lingua A L’interprete deve essere in grado di esprimersi bene in molti registri diversi e avere la comprensione di un ampio vocabolario che spazi in più campi di conoscenza. Va da sé che il fatto di crescere parlando una lingua non significa automaticamente che si avranno dette abilità. La buona notizia è che, partendo da una buona base culturale, queste abilità, nella propria lingua madre, possono essere acquisite con molta diligenza, costanza e applicazione. Il paradosso è due lingue madri o nessuna lingua madre! Caso 1 - L’interprete con due lingue A L'interprete bilingue. Succede che alcune persone abbiano due lingue madri, anche se è abbastanza raro. In questo caso si dice che hanno una “doppia A”. Molto più comune tra gli interpreti è una combinazione con una lingua A (madrelingua) e una B (quasi madrelingua ma non del tutto). In rari casi può anche succedere che l’interprete sia trilingue! Pensiamo a un bambino scolarizzato in Italia che però ha due genitori di nazionalità diversa, mettiamo il caso di una mamma francese e papà tedesco, ciascuno dei quali si ostina a parlargli nella sua lingua e poi lo spinge a leggere fiabe o vedere cartoni animati in francese e poi in tedesco. Molto probabilmente quel bambino diventerà un adulto trilingue. Caso 2 - L’interprete senza lingua A Può sembrare strano ma esiste anche questo caso. Si riferisce a un interprete che non è particolarmente fluente in nessuna lingua, ossia il caso dell'ALINGUAL termine inglese che non ha equivalenti in italiano. Esistono persone che hanno una padronanza perfetta di una, due o più lingue (che potrebbero essere definite lingue A + B) che tuttavia, quando messi alla prova nelle esercitazioni in più lingue, mostrano problematiche espressive legate al fenomeno dell’interferenza linguistica. Capita a tutti noi che studiando due o più lingue straniere facciamo confusione con vocaboli o espressioni idiomatiche oppure usiamo giri di parole o espressioni che si rivelano stridenti all'orecchio di un madrelingua. Il problema nasce quando questo fenomeno si verifica mentre utilizziamo la nostra lingua madre in quanto ciò implica non parlare nessuna lingua a livello nativo. Il problema si risolve solo se ci si concentra sullo sviluppo di una sola lingua, trascurando le altre, per poi eventualmente riprenderle successivamente. B - Lingua equivalente a quella madre B sta per Bilingue? Ce lo chiediamo un po’ tutti! La lingua B è probabilmente la più sfuggente delle tre categorie. Cos'è, infatti, una lingua B in pratica? E qual è la differenza tra una B e una A in un interprete bilingue? Sebbene ci siano interpreti che lavorano abitualmente in attiva nella loro lingua B, da una o più lingue C, senza che nulla distingua la loro lingua B dalla loro A, a livello di resa, nella maggior parte dei casi non è così. Quasi tutti gli interpreti pongono delle restrizioni per lavorare con la loro lingua attiva che non è la loro lingua madre. In alcuni casi ci lavorano in modalità consecutiva ma non in simultanea, in altri scelgono di lavorare solo dalla loro lingua madre nella loro lingua B e non dalle loro altre lingue. Per favorire la comprensione facciamo un esempio pratico. Caso 3 - Un interprete con lo spagnolo come lingua A, l'inglese come lingua B e infine l'italiano come lingua C. Lavorerà dall'italiano e dall'inglese allo spagnolo e dallo spagnolo all'inglese, ma NON dall'italiano all'inglese (cioè da una lingua che non è la sua madrelingua alla sua B). Questa distinzione può sembrare incomprensibile a un profano; abitualmente si tende a pensare che se parli bene diverse lingue, dovresti riuscire a lavorare ugualmente bene tra tutte e in tutte le direzioni. Non è assolutamente così! Interpretare in una lingua diversa dalla lingua madre è molto più difficile che farlo nella tua lingua madre. Per questo motivo è necessaria la distinzione tra A e B. C – La lingua di partenza Si riferisce alla lingua di cui l'interprete ha una comprensione completa e con la quale lavora. Queste lingue sono anche denominate lingue passive, poiché non ci si aspetta che gli interpreti le usino in modalità attiva. Questa definizione porta spesso a incomprensioni. Una lingua C non vale di meno di una lingua A o B, né per un interprete è più semplice mantenere attiva nel tempo la comprensione orale piuttosto che la produzione orale. Dal punto di vista dell’interprete la conoscenza passiva di una lingua può sembrare molto attiva, se pensiamo al lavoro che c’è dietro per conservare e ampliare il bagaglio linguistico. Per poter classificare una lingua come C, un interprete deve avere una piena comprensione di quella lingua in tutte le sue diverse forme. Possiamo schematizzare la parola “forme” in tre definizioni: 1. Avere familiarità con i dialetti e le variazioni regionali Se, ad esempio, l'unico francese che capisci è il français de France, allora dovrai iniziare ad accordare il tuo orecchio al twang del Québécois e al ritmo del francese africano (senza dimenticare Belgio e Lussemburgo e tutti gli altri posti dove si parla francese). Austriaco contro tedesco e contro svizzero, fiammingo contro olandese, le varie versioni dello spagnolo parlate nel mondo ecc… Poche lingue sono parlate in un'unica versione standard e un interprete che voglia dirsi completo deve conoscere, o almeno riconoscere, quante più varianti possibili della sua lingua C. Per l’inglese il discorso è più complesso. L’interprete che vuole lavorare dall'inglese, oltre a conoscerne varianti e dialetti usati nel mondo anglofono, si ritroverà spesso a lavorare dal Globish, quella versione internazionale dell'inglese parlata in tutto il mondo da persone che non sono di madrelingua, ciascuna nel loro modo speciale. Un finlandese non parla il globish come lo parla un coreano, e l'interpretazione da questi e altri non madrelingua inglese a volte richiederà all'interprete di sviluppare abilità speciali. 2. Essere competenti in una serie di registri Per registro si intende la varietà di una lingua utilizzata per uno scopo o in un particolare contesto. Ci basterà pensare a una microlingua nella nostra lingua madre. 3. Specializzarsi. Come abbiamo visto le variabili sono talmente tante che l'arte dell’interpretazione, così come quella della traduzione tende sempre più alla specializzazione. Vale a dire che è più semplice, nonché più efficace, iniziare a specializzarsi in uno o al massimo due settori professionali, per poi ampliarli col tempo oppure mantenere sempre gli stessi per fare in modo di giungere sempre più vicini alla perfezione, ma anche alla semplificazione della vita professionale. Un interprete specializzato in uno o due settori col tempo si ritroverà a svolgere servizi di interpretariato preparandosi il minimo necessario, dato che, inevitabilmente, sarà sempre più informato sui settori in cui si è specializzato. I mantra dell’interprete: La lettura e l’ascolto. Partiamo dal presupposto che “un interprete che non legge/ascolta non è un interprete”. Può sembrare una frase sibillina ma tanto è! Un vero interprete per vocazione e inclinazione è naturalmente portato a leggere/ascoltare qualsiasi cosa gli capiti a tiro, aldilà delle sue preferenze personali. Vale a dire che è dotato di un motore che si chiama “curiosità”. Se vediamo un aspirante interprete che non legge o non ascolta mai sta bluffando! Possiamo, però, concedergli il beneficio del dubbio; magari pensava che per trasformarsi in un bravo interprete bastasse imparare a memoria due o più dizionari. Va da sé che, a forza di leggere e ascoltare, l’interprete si costruisce l’indispensabile bagaglio di cultura generale. ✔ I master delle SSIT di Pescara ti offrono esercitazioni individuali o in piccoli gruppi.
✔ Sono a difficoltà crescente e permettono di confrontarsi con simulazioni realistiche di servizi di interpretariato in consecutiva e di trattativa, sulle tematiche più ricorrenti nei servizi professionali. ✔ Permette lo svolgimento delle esercitazioni anche a chi ha impegni professionali in quanto è possibile concordare giorni e orari in base alla propria disponibilità. ✔ C'è la possibilità di interrompere periodicamente le esercitazioni in caso di impossibilità del partecipante allo svolgimento.
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