Solo due tra i primi dieci paesi del Global Innovation Index 2012 sono asiatici, entrambi con un forte legame con il mondo occidentale, Singapore e Hong Kong. Il primo in classifica di solito è considerato pressoché immobile, la Svizzera. Recentemente, Raytheon BBN Technologies ha incassato altri 5,9 milioni di dollari dal governo federale americano per lo sviluppo di un sistema di traduzione automatica dei documenti in lingua straniera. Il finanziamento copre anche la messa a punto di un sistema portatile per la traduzione automatica dei testi all’interno di immagini. Di recente, sul blog aziendale, Franz Och, il responsabile della ricerca per Google Translate, ha affermato che “oggi, sul pianeta, la maggior parte delle traduzioni è fatta da Google Translate”, ma anche che “le traduzioni più sofisticate o importanti, non c’è niente di meglio di un traduttore umano”. Il presente articolo è stato estratto dal blog "The Big Wave" , una rivista trimestrale dedicata alle tecnologie linguistiche, pubblicata da sQuid Recentemente, Microsoft ha annunciato la disponibilità di Microsoft Translator Hub per l’uso commerciale attraverso la personalizzazione del motore di traduzione automatica per settori specifici. Ovviamente, la personalizzazione impone agli utenti di alimentare il Microsoft Translator Hub con le loro memorie di traduzione, e che Microsoft possa “utilizzare, modificare, adattare, riprodurre, distribuire, pubblicare e visualizzare” i dati linguistici dei propri clienti, ed eventuali informazioni correlate, in modo da rafforzare ulteriormente il proprio motore di traduzione automatica e gli altri servizi online, che così attireranno sempre più utenti, incrementando la raccolta pubblicitaria, e favorire un aumento di fiducia da parte degli investitori dopo il recente calo. Uno degli argomenti preferiti degli avversatori della traduzione automatica è quello secondo cui non si possa tradurre niente di cui non si comprenda il significato nella lingua originale, e che i computer non capiscano niente per definizione, limitandosi a eseguire comandi. In realtà, non hanno bisogno di capire nulla, ancor meno le lingue: un motore di traduzione automatica statistica fa al meglio proprio ciò per cui sono fatti i computer, eseguire calcoli, scegliendo la traduzione più probabile in un modello di riferimento derivato da un corpus bilingue di migliaia di frasi. Un altro punto debole della traduzione automatica sarebbe la poesia. Di recente ne è stato portato un esempio con il proemio dell’Eneide, forse dimenticando che è stato per secoli preso a modello per il poema epico e la letteratura cavalleresca, e che sul Web esistono numerose traduzioni dell’Eneide, da quella di John Dryden del 1697 a quella di Sarah Ruden del 2008, il che rende Google Translate sorprendentemente brillante almeno con le prime righe del poema virgiliano. Il miglioramento della traduzione automatica è tale da indurre un anonimo sedicente LSP a chiedere a Karen E. Klein di Businessweek se i servizi di traduzione on-line potrebbero rendere obsoleta questa attività. Se è vero che i servizi di traduzione on-line non hanno intaccato il mercato della traduzione, non è vero che l’industria della traduzione non ha minimamente risentito dalla crisi economica mondiale. Per un’analisi attendibile, però, è necessario prendere in esame il volume complessivo del materiale tradotto rispetto al fatturato globale, sulla base del valore medio. In questo modo, sarebbe sensato imputare il calo verticale dei prezzi delle traduzioni registrato tra il 2008 e il 2009 anche, se non soprattutto, agli effetti di recessione e inflazione, così come a molti altri fattori endogeni, ed endemici, dell’industria della traduzione, quali il ritardo nel rinnovare un ormai obsoleto modello di business, probabilmente lo stesso che anche l’anonimo lettore di BusinessWeek aspirante LSP era intenzionato ad adottare. D’altra parte, non esiste prova che la traduzione automatica sia causa diretta o indiretta del calo dei prezzi; la colpa di questo calo va semmai ascritta a clienti male informati assistiti da LSP incompetenti che hanno fatto e fanno un uso sconsiderato delle tecnologie di traduzione, volto solo a comprimere i prezzi e a sostenere la concorrenza sui prezzi. MultiLing di Provo, per esempio, cresce nonostante il coinvolgimento di Google nel mercato dei brevetti. MultiLing conta 90 dipendenti nella sede di Provo e altri 120 sparsi per il mondo, e assume avvocati esperti in diritto dell’immigrazione per affrontare il complicatissimo processo di traduzione dei brevetti. Il caso MultiLing riflette la tendenza degli studi legali ad assumere avvocati con conoscenza delle lingue per risolvere le controversie d’affari internazionali, dimostrando ancora una volta che la padronanza di una o più lingue è ancora considerata una competenza accessoria. E questo va anche a supporto della convinzione secondo cui, “per le questioni legali, traduttori e avvocati con conoscenza delle lingue si collocano nella stessa fascia di prezzo”. Più in particolare, però, il rapporto tra interni e freelancer, in MultiLing, è un altro indizio importante per un più efficace approccio al settore. Inoltre, la tendenza ai microprogetti richiede personale stabile per gestire progetti composti da flussi ininterrotti di microincarichi. Per esempio, un incarico da 28 parole non è decisamente redditizio, neanche per € 6,50, specialmente se richiede una telefonata (anche solo di un minuto), un’email di conferma (per scrivere la quale occorrono almeno cinque minuti) e un PO (per emettere il quale occorrono almeno altri dieci minuti ): il compenso copre appena i primi nove minuti. Se proprio si vuole imputare qualcosa a Google Translate e a Google Translator Toolkit è di aver favorito la commodificazione delle tecnologie di traduzione, soprattutto della traduzione automatica, non certo della traduzione tout court. La commodificazione della traduzione è invece dovuta alle grandi agenzie di traduzione che impongono unilateralmente le loro condizioni a SLV e liberi professionisti, incapaci, come sono, di negoziare con i clienti maggiori, quelli con enorme capacità di spesa. Le loro relazioni con questi clienti sono vitali, in quanto sono l’unico mezzo di sostentamento per il loro gigantesco overhead, dovuto per lo più ai generosi emolumenti e premi concessi a dirigenti e personale di vendita. I traduttori, non solo nei paesi del SE, sono usi a piagnucolare, e raramente si concentrano sulle strategie alternative per migliorare la loro attività. Non c’è da sorprendersi che l’amministratore “americano” di Chrysler e di Fiat Sergio Marchionne abbia accusato Volkswagen di sfruttare la crisi per guadagnare quote di mercato offrendo sconti aggressivi: VW è la più grande casa automobilistica europa e la seconda del mondo dopo Toyota ed è stata capace di contenere i costi producendo parti comuni e ripartendo lo sviluppo su un ampio ventaglio di marchi, dai veicoli commerciali e di fascia bassa alle vetture di lusso. Magari, l’”industria” della traduzione potrebbe imparare da quella automobilistica e innovare per fare meglio prodotti. L’atteggiamento comune nel settore delle traduzioni, invece, è di cercare un deus ex machina, e ci si dovrebbe sorprendere a sentire che i docenti di traduzione pretendono di insegnare in primo luogo a risolvere problemi! Un problema comune tra i traduttori è rappresentato dai contratti. Quando i traduttori ricevono un contratto, spesso si lamentano giustamente di trovarlo intasato di clausole e cavilli. La paura di essere citati dai clienti è davvero così forte da indurre a chiedere ai fornitori di fornire garanzie su garanzie? Le grandi agenzie di traduzione e alcune altre più piccole contano sempre più spesso sull’ignoranza dei traduttori riguardo i loro diritti, sulla distanza geografica e la remota possibilità di essere citati per dissuadere i traduttori dall’avanzare reclami in caso di violazioni del contratto. In realtà, potrebbero incorrere negli stessi problemi che potrebbe anche essere più difficile risolvere altrove, Europa compresa. Inoltre, la presenza di clausole palesemente illegali in un contratto o in un PO non li rendono automaticamente nulli: solo le clausole stesse lo sono, e un traduttore competente dovrebbe sapere che può ignorarle altrettanto sfacciatamente. Alcuni LSP non aprono nemmeno i file dei loro clienti prima di formulare un preventivo e chiederne uno ai loro fornitori, e si comportano come se fossero fermamente convinti di poter applicare lo stesso metro per tutti, mentre non è chiaramente così. Alcuni LSP non eseguono nemmeno un conteggio affidabile del numero di parole, e non offrono materiale di riferimento ai traduttori, anche quando ne hanno in abbondanza, sanno che esiste e/o potrebbe chiederlo al loro cliente. I fiumi di inchiostro di cui di recente sono stati inondati i giornali e le riviste on-line e su carta con la pretesa di sfatare miti e pregiudizi sulla traduzione sono quindi destinati al pubblico sbagliato. E mentre le cose cambiano, anche per la traduzione, il processo è rimasto essenzialmente lo stesso da 10, 20, o addirittura 30 anni, se non di più, e potrebbe restare lo stesso anche per quelli che verranno. Negli ultimi 30 anni, l’industria della traduzione è stata caratterizzata dal vendor management. Un vendor manager dovrebbe saper individuare e valutare i traduttori in base alla loro esperienza e competenza e garantire che siano disponibili quando necessario, dovrebbe saper condurre la valutazione dei progetti, assicurando che siano coerenti con le specifiche e le politiche di prezzo e i relativi modelli, e negoziare i compensi. Infine, ma non ultimo, un vendor manager dovrebbe anche saper comunicare, gestire i contratti di servizio e molto altro ancora. Ma, pur lasciando da parte ogni considerazione sulla confusione dei ruoli, ad esempio tra VM e PM, la maggior parte degli LSP è ancora alle prese con modelli assolutamente inefficienti. Non c’è traduttore che non possa raccontare di almeno un’email ricevuta da un rinomato LSP che gli chiedeva di risolvergli un problema con un qualche strumento di traduzione, o di conversione, o di pulizia di un file, o di compilazione e così via. Questo di solito accade perché il core business di un LSP non è, in alcun modo, l’erogazione di servizi linguistici, ma l’intermediazione di lavoro. È solo per questo che la maggior parte degli LSP non ha un organico tale da permettergli di affrontare i problemi tipici dei progetti di traduzione. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che sia in aumento il numero di LSP certificati, soprattutto allaEN 15038. Le norme sulla qualità non richiedono ai candidati alla certificazione di assumere personale con competenze specifiche. In realtà, la EN 15038 richiederebbe al TSP di documentare le procedure in atto per la selezione del personale coinvolto nei progetti di traduzione, per assicurarsi che sia qualificato e in possesso delle necessarie competenze, oltre che disporre delle attrezzature necessarie alla corretta esecuzione di essi. Inoltre, per erogare i servizi di traduzione, un TSP dovrebbe disporre anche gli aspetti tecnici relativi alle specifiche di progetto, assicurando la disponibilità dei mezzi tecnologici necessari, ed effettuando i necessari interventi tecnici. Nel redigere la norma, però, quasi tutti i delegati al gruppo di lavoro BT/TF 138 pretesero di inserire una sezione sui servizi a valore aggiunto, ma si rifiutarono categoricamente di introdurre ogni qualsivoglia riferimento a metriche e misure, o di definire i rapporti con i fornitori, anche solo relativamente ai termini contrattuali, e si opposero fieramente anche all’introduzione del job ticket (la scheda progetto), che alla fine accettarono di inserire solo come allegato informativo, cioè non vincolante, al pari degli aspetti tecnici. Anche in questo caso, non dovrebbe esserci da sorprendersi nel sapere che sempre più LSP, sempre più spesso, reclutano i loro collaboratori solo attraverso i portali come ProZ.com e TranslatorsCafé.com, anche se questi hanno portato a una stratificazione del mercato delle risorse, con una ampissima fascia bassa, una intermedia più ristretta e un’ultima, molto sottile, di alto profilo, ognuna delle tre praticamente impermeabile all’altra. Sembra ovvio, quindi, che la maggior parte degli LSP sia interessata alle norme sulla qualità come puro veicolo di marketing, ignorando del tutto cosa queste norme significhino e comportino davvero. La più importante azienda italiana del settore, fondata nel 1979, già più di venti anni fa, aveva ripetutatemente annunciato di essere prossima ad avviare il processo di certificazione alle norme sulla qualità, ma non l’ha mai fatto, né è tuttora certificata. È stata tra le prime, però, se non la prima, a servirsi del Web per il proprio modello di business, salvo usare i profitti che ne ha ricavato (alcuni maligni sostengono senza pagare i fornitori) per diversificare la propria attività, creandosi così una via di fuga per sostenere la concorrenza sui prezzi (che aveva contribuito ad alimentare) e crescere per volumi. L’overhead non è un gran problema per le cosiddette “agenzie individuali” e gli studi di traduttori, che tuttavia devono rinunciare alle grandi commesse perché non possono permettersi di fare vendor management e possono solo agire da terzisti. Così, la concorrenza sui prezzi, con la conseguente compressione dei margini di profitto, rende la loro attività sempre meno sostenibile. La mancanza di risorse finanziarie e la stretta creditizia fanno il resto: queste microimprese si servono dei freelancer come fossero banche, pagandoli il più tardi possibile, in genere molto dopo essere state pagate a loro volta. Magari non li pagano affatto, contando sulle farraginosità e l’onerosità delle procedure di recupero crediti. E se perdono un collaboratore, non stanno a pensarci troppo su: in fondo, in base alla legge di Gresham, non sono soliti servirsi delle migliori risorse, e sanno di poter sempre trovare un traduttore disperato o ingenuo appena dietro l’angolo, magari attraverso gli eventi formativi che organizzano e/o vendono per integrare il loro magro reddito. Magro solo per loro, che hanno sempre qualcosa da insegnare agli altri.
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